LE SFIDE DELL’ADOLESCENZA NELLA PANCIA DELLA BALENA
Silvio è un adolescente di 16 anni.
Il primo contatto con lui avviene durante il mese di agosto 2020 dopo il primo lock down dovuto alla pandemia da Covid-19, in modalità online. Il percorso si conclude nel mese di giugno dell’anno 2022.
Silvio alloggia in una comunità per adolescenti. La richiesta di un sostegno psicoterapeutico è stata avanzata dai responsabili della comunità per il manifestarsi di episodi depressivi ricorrenti.
Gli incontri, che avvengono online, sono molto caotici e interrotti saltuariamente dagli educatori che entrano ed escono dalla stanza. La qualità del collegamento internet è molto scarsa e di conseguenza riduce la qualità dell’immagine e/o della voce; lo schermo riduce la visione dell’intero corpo, non consentendo di avere un’idea delle reali fattezze di Silvio.
Durante le sedute online si riesce a malapena a raccogliere briciole del racconto della sua vita e dei motivi del suo ingresso in comunità.
Silvio ha un fratello minore di 13 anni, anch’egli accolto dalla stessa comunità, perché entrambi i genitori non sono stati ritenuti in grado di prendersi cura dei figli: la madre è decaduta dalla responsabilità genitoriale e il padre è andato a vivere a Roma, dove ha formato un’altra famiglia e si limita a brevi e scarsi contatti telefonici
Silvio si presenta puntuale agli appuntamenti online, partecipando generalmente con silenzi e risposte secche, ridotte a monosillabi.
Verso la metà del mese di settembre, si concorda la prima seduta in presenza.
Il primo aspetto che colpisce di Silvio è l’imponenza della sua fisicità: un ragazzo di quasi due metri di altezza, nonostante la giovane età.
Il secondo aspetto è la timidezza con un sorriso accennato nel primo incontro in presenza, che scompare non appena Silvio prende posto sulla sedia.
Scompare Silvio nonostante la sua mole, scompare la sua espressività.
Il suo vestiario, completamente di colore nero, lo rende simile a un sacco, buttato lì quasi per caso: come un oggetto inanimato è privo della parola, così Silvio non ha accesso a essa.
Per i primi quattro incontri regna il silenzio, interrotto solo dalle notifiche del suo cellulare, che ignora.
L’evento che restituisce la voce a Silvio viene scatenato proprio da una di queste notifiche, di cui riconosco il suono del videogioco “GTA Online” e glielo faccio notare.
Da quel momento un timido sorriso si accende sul volto di Silvio, che inizia a rispondere alle domande che gli pongo. Il ragazzo racconta che giocava a quel videogioco quando era a Treviso, dove aveva vissuto fino all’età di 15 anni prima di trasferirsi a Napoli in seguito alla separazione dei suoi genitori (avvenuta a causa di un tradimento compiuto dal padre con la persona che sarebbe poi diventata la sua seconda moglie).
Silvio parla molto di Treviso, che si configura per lui a tutti gli effetti come il “luogo dell’anima”: parla dei suoi amici, della scuola e delle partite di calcetto. Non si spinge troppo nel profondo ma è chiaro che Treviso abbia rappresentato la parte felice del suo tempo.
Napoli invece gli è indifferente: quando viveva in famiglia, oltre ad andare a scuola le sue giornate consistevano nel giocare alla playstation e nel prendersi cura del fratello, mentre la madre era fuori a metterlo “in imbarazzo urlando”. La madre, in piena crisi per il fallimento matrimoniale, si recava fuori i pubblici uffici del territorio di residenza, come il Comune o l’ASL, a sollecitare urlando aiuti economici per se stessa e i figli.
Questi comportamenti reiterati, che Silvio non riusciva a impedire e che gli facevano provare “troppo imbarazzo nell’accompagnarla”, furono la causa della segnalazione ai servizi sociali e della conseguente collocazione in comunità. Silvio si è sentito catapultato in una città (Napoli) e successivamente in un luogo (la
comunità) a lui completamente estraneo, sottratto a un contesto (Treviso) in cui si sentiva bene.
La famiglia di origine Silvio e suo fratello non hanno avuto la possibilità di essere affidati ai parenti prossimi, come soluzione alternativa al collocamento in comunità. Egli racconta che, in seguito alla separazione dei genitori, i parenti della linea paterna si erano dileguati e quelli della linea materna erano assenti già da molto tempo, insofferenti alle manifestazioni della follia di sua madre.
Silvio mantiene il rapporto con la madre grazie alle visite in comunità. Tuttavia riferisce: “non fa altro che mettermi in imbarazzo, non ho interesse a incontrarla: ripete sempre le stesse cose”.
La madre, inoltre, continua a rifiutare di sottoporsi alle valutazioni psicodiagnostiche necessarie per ottenere il riaffido dei figli. Si potrebbe definire Silvio un ragazzo senza tempo e senza spazio: dopo essersi trasferito da Treviso ha smarrito sia il passato che il futuro; inoltre non sente di vivere il presente non
avendo più un luogo dove poter compiere il suo percorso di vita in sicurezza. Il mondo e i legami con esso gli sono preclusi e non ha nessuna intenzione di sforzarsi, di crescere: gli sembra tutto inutile.
Durante il percorso psicoterapeutico, Silvio continua a rifiutare di curare il rapporto con i suoi genitori: il padre così come aveva abbandonato i figli, è presto abbandonato nei discorsi del ragazzo durante le sedute.
GTA Online è la modalità multiplayer online di Grand Theft Auto V, un videogioco in cui il giocatore simula una vita da Mogul di un impero criminale, compiendo, da solo o con gli amici, scorribande, come rapine, furti in banca fino a vere e proprie operazioni criminali.
Anche quando vivevano tutti insieme in famiglia, prima del tradimento e della separazione dalla madre, per Silvio il padre era una figura assente.
Le telefonate in comunità del padre sono rare e poco gradite dal figlio, poiché percepite come poco sincere e non dedicate alla cura della loro relazione.
Man mano i loro contatti saranno sempre più rari fino a sparire del tutto. Infatti con l’ingresso in comunità, le telefonate paterne si trasformano in messaggi, e con il passar del tempo scompaiono definitivamente anche questi ultimi. “Lui non è mai stato mio padre, lo è solo di nome” dirà nel corso delle sedute. Rispetto ai familiari, si limita a chiedere notizie solo della sorella nata dalla relazione successiva.
Silvio, nella ricostruzione e risignificazione della sua storia, attribuisce la causa della separazione dei genitori ai comportamenti “anomali” della madre: la descrive come colei che si dedicava esclusivamente alla preparazione dei pasti, al lavaggio degli indumenti e della biancheria e inveiva verbalmente contro il marito e gli altri parenti, lasciandolo solo senza vigilanza. Per Silvio non è una “buona” madre.
Nel corso della terapia, approfondisce i propri sentimenti verso la madre, accede alla rabbia e verbalizza il dolore per l’aggravamento delle manifestazioni del disturbo psichico. Silvio sembra aver bisogno di elaborare il lutto della perdita di ciò che secondo lui dovrebbe essere una madre.
Gradualmente le proteste in strada della madre acquisiscono per lui un nuovo significato: il tentativo disperato di assicurare ai figli una vita migliore e non l’esplicitazione di un modo facile di procurarsi denaro.
Così Silvio si avvicina al sentimento del perdono. Il Tribunale per i Minorenni dopo un po’ di tempo decreta la decadenza della responsabilità genitoriale alla madre.
Silvio incomincia a capire e accettare che la mamma è una “persona malata”. Il tempo, lo spazio e le relazioni Silvio vive in una comunità alloggio, condividendo i tempi e gli spazi con altri minorenni ospiti e con gli educatori che lavorano organizzati in turni che si alternano nell’arco delle 24 ore. Tale discontinuità produce in molti casi la difficoltà a costruire relazioni stabili con operatori che potrebbero rappresentare importanti figure di riferimento per i ragazzi.
Siamo nel periodo dell’emergenza sanitaria da Covid-19. Lo spazio della comunità è vissuto più come una prigione che come un luogo di accoglienza.
Le misure di distanziamento e chiusura riducono tutto ai semplici bisogni quotidiani elementari: Silvio si limita a mangiare e a dormire come un bimbo appena nato che ha bisogno solo di quello. Inoltre deve difendersi da atti di bullismo da parte di un altro ragazzo della comunità. Ignora il fratello, del quale dice: “sta molto meglio di me”.
Il tempo di Silvio è un tempo fermo: nell’immobilità mantiene viva la speranza che tutto quello che sta vivendo possa finire. Silvio segue online le lezioni dell’istituto tecnico al quale è stato iscritto, scelto soprattutto per non perdere l’anno scolastico. A Silvio piace cucinare; nel corso delle sedute racconta di aver trovato il coraggio di chiedere all’educatore di poterlo affiancare nella preparazione del pranzo e della cena.
Questa possibilità gli viene concessa e tale attività lo gratifica talmente da pensare di chiedere che gli venga cambiato il percorso di studi dall’istituto tecnico all’alberghiero. In quel periodo, gli educatori sono vissuti come esecutori delle misure di controllo e di protezione e quando gli altri ospiti della comunità vengono dimessi dalla struttura in lui si riattiva il doloroso vissuto di separazione e prova sentimenti di invidia per il loro ritorno a casa.
Continua fortunatamente ad avere contatti con i suoi amici di Treviso e riesce a mantenere legami con alcuni amici che non vede da tempo.
Inizia così a osservare con un’altra prospettiva i propri sentimenti e i propri problemi relazionali: quanto la paura possa influire sul controllo delle emozioni e nell’apertura all’altro.
Man mano Silvio si scopre gentile e timido: non riuscendo a ottenere il passaggio all’istituto alberghiero, coltiva comunque la sua passione per la cucina e per lo studio; stringe anche un’amicizia all’interno della comunità con un ragazzo di un anno più grande. Si intravede una trasformazione: Silvio è sempre più eloquente sebbene con tono sommesso; seduto sulla sedia prende sempre più una forma umana e perde quella di un sacco contenente oggetti di scarto.
Durante una seduta nel mese di novembre noto una vistosa spaccatura sulla sua mano, tipico di quando si tira un pugno contro qualcosa di duro. Silvio, dopo un lungo silenzio, riferisce di un litigio avvenuto con un altro ospite che lo aveva, a suo dire, provocato ripetutamente.
Nel racconto non si sofferma sul litigio in particolare, ne aveva già discusso con la coordinatrice della comunità ma si lamenta della sua mancanza di libertà rispetto agli altri ragazzi che sono autorizzati a rientrare presso le loro famiglie.
Silvio in una seduta racconta piangendo che un giorno in comunità aveva proposto di organizzare delle “uscite” per quelli che come lui non avevano una casa o una famiglia presso cui ritornare; la proposta non solo fu bocciata ma si sentì anche dire: “purtroppo ci sono persone che non hanno avuto fortuna a nascere”.
Silvio piangeva perché il contenuto della frase gli provocava un profondo senso di solitudine e di incertezza: sentiva di aver perso la speranza nelle relazioni con gli altri e nel futuro.
La comunità che lo aveva accolto lo situava in uno stadio fetale, sospeso in un “ventre” che non gli permetteva l’accesso all’esterno ma solo di fluttuare nel liquido amniotico in attesa della “rinascita”, cioè il compimento della maggiore età. Si mostrava apatico nella vita di tutti i giorni e in terapia, trascorreva il tempo a letto al buio in compagnia del solo telefono.
La metafora del ventre materno viene accolta da Silvio con entusiasmo misto ad amarezza: “Non l’avevo mai pensata in questo modo, fa molto male ma è esattamente come mi sento”.
Il tempo della terapia è occupato successivamente dalla riesplorazione dei rapporti sociali, dalla riattivazione di una progettualità, ma qualsiasi tentativo di esplorare i legami familiari è respinto con fermezza: Silvio si sente completamente immerso nel tempo presente e proiettato al futuro. Il passato lo paralizza nelle sue azioni e quindi lo mettiamo da parte.
Da quel momento Silvio procede spedito nel suo percorso, riprende i contatti con gli amici di Treviso, di cui alcuni lo raggiungeranno a Napoli in visita e si lancia in un percorso lavorativo part-time in una pizzeria, lavorando in cucina. Durante le sedute, parla entusiasticamente di quello che gli sta accadendo, elenca i propri successi nel percorso formativo-lavorativo, parla dei progressi nelle relazioni sociali e di quello che desidera raggiungere con le sue azioni.
Tutto quello che accade ora nella sua vita è unicamente rivolto ad accelerare la sua “rinascita” e a non perdere le opportunità che la comunità gli offre in previsione della sua dimissione. “Dottore io voglio salvare mio fratello e portarlo via con me”.
Al rientro dalla pausa natalizia, Silvio ricade nel mutismo, anche in comunità è silenzioso, non reattivo e di nuovo rinchiuso nella sua stanza, litiga con tutti e smette anche di aiutare in cucina.
È molto arrabbiato perché un operatore, a cui è affezionato lo ha trattato male e un compagno della comunità, un suo caro amico, è andato via per ritornare dai genitori. “Questo succede a voler bene qualcuno, ti abbandonano”.
Esploriamo le sue reazioni a queste esperienze di separazione: “Io lo so che viene quasi tutto da mio padre e mia madre, ma non riesco a perdonare coloro che mi fanno questo male”.
Tuttavia comunicando i propri sentimenti e cercando di capire le motivazioni del comportamento altrui, cerca di attribuire il giusto significato a ciò che gli accade. Silvio sta compiendo una vera e propria trasformazione: migliora la forma fisica dimagrendo grazie alla palestra; partecipa a un corso di formazione professionale e inizia un lavoro come cameriere in un bar; lascia il lavoro in pizzeria per godersi di più i pomeriggi e le uscite organizzate dagli educatori.
Decide di prolungare la sua permanenza all’interno della comunità fino al compimento dei 21 anni per terminare gli studi e garantirsi un futuro più solido.
La terapia termina nel calore dell’estate con il nostro comune accordo. Ormai parliamo delle esperienze adolescenziali che sta sperimentando in quel periodo: le uscite in spiaggia, le prime cotte e il desiderio di investire i soldi che guadagna in qualcosa di utile.
Silvio ha compiuto la sua “rinascita”.
Nella pancia della balena.
La storia di Silvio ricorda la favola di Pinocchio: se nei primi incontri Silvio era un ciocco di legno inerme, immobile e in attesa della mano di Geppetto per prendere forma, alla fine del percorso terapeutico appariva come un burattino monello che tutto vuole esperire senza avere consapevolezza che la strada per diventare un “bambino vero” può essere dura e faticosa.
“Ohi! Tu m’hai fatto male!” ecco la sua prima parola, ecco il primo vissuto rivelato nello 41 spazio di terapia, uno strillo di dolore di chi ha subito la mano pesante dell’accetta che lo riporta a una realtà dolorosa che lo ha mutilato in qualche modo. Ma questo ciocco in realtà è già burattino: Silvio aveva già sperimentato cosa significasse essere un “bambino vero” e ora era regredito, incapace di richiamare a sé quel tempo.
Attraverso il lavoro realizzato nel tempo e nello spazio della terapia, attraverso quell’incontro, il ciocco si è reso conto di avere ancora arti mobili, una bocca per
esprimere parole, orecchie per ascoltare e una mente per elaborare e riflettere.
Tuttavia si risveglia nella pancia della balena, ovvero nella comunità, uno spazio estraneo, in cui egli non si azzarda a muoversi per non disturbare quel mostro tanto minaccioso e pericoloso.
Ma se Pinocchio aveva due figure di riferimento, Geppetto e la fata Turchina, una che aveva un piano per lui e l’altra che prometteva un futuro radioso nel caso di buona condotta, Silvio si ritrova solo: il padre è andato via lontano e ha rinunciato ad arnesi e aspettative nel confronto del suo burattino, mentre la madre seppur presente risulta assente in quanto affetta da un disturbo psichiatrico e non può aiutarlo.
Ho pensato di fabbricarmi da me un bel burattino di legno: ma un burattino meraviglioso, che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali. Con questo burattino voglio girare il mondo, per buscarmi un tozzo di pane e un bicchier di vino: che ve ne pare? […] Birba d’un figliuolo! Non sei ancora finito di fare, e già cominci a mancar di rispetto a tuo padre! Male, ragazzo mio, male!
Silvio si trovava nella pancia della balena, senza potersi confrontare, senza una figura di riferimento da poter riabbracciare e con cui poter progettare una vita fuori dal ventre di quel mostro.
Lo spazio della terapia gli restituisce il grillo parlante, grazie al quale Silvio riuscirà a capire che il ventre della balena non è uno spazio così angusto e che è anche abitato da altre persone che come lui patiscono un dolore simile e con le quali può relazionarsi.
Anche in assenza di Geppetto, Silvio può avere figure di riferimento, vicine, in grado di fornirgli gli strumenti necessari per uscire. Gli ostacoli sono però sempre in agguato sul suo cammino: mentre vorrebbe utilizzare lo spazio, sgambettare e spargere sorrisi, la
pandemia fuori dal ventre gli impedisce tutto ciò e gli educatori vengono vissuti come i carabinieri della favola.
Il carabiniere, senza punto smuoversi, lo acciuffò pulitamente per il naso (era un nasone spropositato, che pareva fatto apposta per essere acchiappato dai carabinieri), e lo riconsegnò nelle proprie mani di Geppetto; il quale, a titolo di correzione, voleva dargli subito una buona tiratina d’orecchi .
La risignificazione del ruolo delle figure degli educatori, della possibilità di rivolgersi a loro nei momenti di difficoltà porta a compimento la sua crescita evolutiva. La vita nel ventre comincia ad acquisire forma, Silvio sfrutta gli strumenti che gli vengono forniti e finalmente riesce a intravedere una vita fuori da quel ventre che gli sembrava tanto spaventoso. Tuttavia Silvio, solo dopo aver elaborato la mancanza, il lutto, riuscirà a tornare un “bambino vero” pronto a sopportare la gettatezza che lo aveva così tanto sopraffatto: […] sopravvive alla scissione che lo porta a sporgere provvisoriamente sul mondo, ma
quell’elemento ligneo dal quale si separa quando appare come ragazzo, ritorna costantemente, si ripresenta spesso nelle variazioni mimetiche più disparate
Silvio si riappropria così della propria adolescenza e delle proprie difficoltà di stare al mondo, il suo mondo, riconciliandosi con la sua storia personale e familiare. Coltivare l’adolescenza (ovvero, l’essere-per-il-senso) significa promuovere la ricerca di senso: vale a dire, il dinamismo a fondamento della maturazione personale che, come tale, non si esaurisce mai. In questa prospettiva anche l’adolescenza, che trova nell’essere-in-ricerca di senso la sua essenza, dovrebbe accompagnare la persona lungo l’intero arco della vita.
L’atteggiamento della ricerca di senso è connotato, infatti, da modi essere e di stare nel mondo (l’apertura al nuovo, l’autodeterminazione e la resilienza) che non possono essere superati o archiviati in modo definitivo, ma che debbono continuare a far parte dello scenario esistenziale di ogni adulto
C. Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, R. Bemporad & figlio, Firenze 1902, p. 7. Ivi, pp. 11-18. 42
M. Di Napoli, Fenomenologia di una deterritorializzazione, https://www.eretici.org/author/aschenbach/. 44
A. Arioli, Questa adolescenza ti sarà utile. La ricerca di senso come risorsa per la vita, FrancoAngeli, Milano 2018, 45